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Stai sfogliando il n.89 Maggio / Giugno 2018
Il voto dei Comuni per ricomporre l’Italia |
Data di pubblicazione: Giovedì, 24 Maggio 2018
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Politica e società
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Come sappiamo il dato più evidente emerso dalle elezioni del 4 marzo è il dualismo politico che si è aggiunto al più marcato dualismo economico: Nord e Sud hanno votato in maniera nettamente diversa. In questo esito si è resa evidente, soprattutto, la sofferenza dei territori meridionali, rimossi dall’agenda politica, ma anche la realtà di una scomposizione sociale, perché l’incremento delle diseguaglianze ha riguardato la società nel suo complesso. Di fronte ad una simile condizione che si palesa anche come ulteriore tendenza, in quanto si accompagna alla disoccupazione, al malessere, al rancore e all’invidia sociale, si palesa l’assoluta necessità di ricucire complessivamente la comunità italiana, anche facendo leva su quella che è stata sempre la realtà più dinamica e creativa del nostro Paese, cioè la territorialità, con le sue ricche articolazioni e nella vitalità dei suoi portatori di interessi collettivi. Tutto ciò si è sempre basato sui presidi intermedi: delle famiglie, sia come riferimenti educativi e di solidarietà, sia come capacità di creatività economica; delle realtà associative locali, favorite dalle interconnessioni tra istituzioni e popolo, che sono un dato costante, storicamente presente nella storia d’Italia. Recuperare la coesione ‘riammagliando’ il tessuto sociale è compito di una politica che si opponga allo sviluppo verticista che ha dilagato negli ultimi anni, emarginando il ruolo degli enti locali, trasformando in ‘periferia’ anche distretti, Comuni e borghi. Il prezzo della lunga crisi, sul piano istituzionale, è stato pagato dagli enti locali, innanzitutto come mancata riforma federalista e, inoltre, sia nella penuria di risorse sia nel doversi far carico dei nuovi drammi portati dalla globalizzazione (dall’immigrazione incontrollata alle nuove povertà). A tutt’oggi assistiamo, pur nella comprensibile attrazione dell’opinione pubblica verso le vicende della formazione del governo, ancora una volta, alla scarsa o nulla attenzione verso le imminenti elezioni locali che interesseranno Comuni importanti. Occorre con forza denunciare questa noncuranza e rilanciare, invece, la essenzialità delle comunità rappresentative locali, come processo di riappropriazione della capacità di valorizzare e sviluppare i territori. Il rilievo di queste elezioni consiste nel rafforzare il primato della rappresentanza come elemento fondamentale della capacità di governo. Le recenti consultazioni nelle regioni del Friuli Venezia Giulia e del Molise e in Comuni rilevanti, hanno mostrato, con l’affermazione dei candidati e delle liste di centrodestra ed il ridimensionamento del Movimento 5 stelle rispetto al voto delle politiche, anche una possibilità meno condizionata dal voto radicale di protesta. Ciò si spiega non tanto in termini di tendenze partitiche prevalenti, ma per l’emergere di una maggiore consapevolezza da parte degli elettori, ai quali è consentito di esprimere sia la rappresentanza attraverso il voto di preferenza sui consiglieri, sia la governabilità con la scelta di sindaci e di governatori. Anche la forte presenza di liste civiche permette di veicolare su proposte concrete e candidature espressione di realtà locali, la comprensibile disaffezione verso l’inadeguatezza partitica che, localmente, comunque, subisce limitazioni per il diretto confronto con la realtà. Tutto ciò non deve essere derubricato in termini di piccola cronaca politica. L’antipolitica in Italia ha fatto passi da gigante e nella sua spinta moralistica e disintermediatrice crea conflitti e contrapposizioni radicali che rischiano di creare aspettative di uscita di tipo sostanzialmente autoritario. Le stesse figure istituzionali subiscono torsioni rispetto alle loro prerogative con la richiesta di esaltare o contrarne i ruoli. A qualcosa del genere si è assistito nelle convulse fasi per le trattative sulla formazione del governo. Il MCL, espressione principale dell’associazionismo cattolico socialmente impegnato, conviene con monsignor Crepaldi il quale, a proposito della Pastorale sociale, sottolinea la necessità di “un movimento dal basso, ma con le idee chiare che poi cresca e che si unisca a rete” e, come in altre precedenti analoghe circostanze, auspica e sostiene l’impegno dei cattolici in liste che rechino contenuti coerenti con la Dottrina sociale della Chiesa. L’instancabile proposizione dei temi a difesa del lavoro e della valorizzazione dei corpi intermedi da parte del Presidente Costalli, anche nel recente Consiglio Generale, costituiscono un contributo, soprattutto verso i giovani, a non rinchiudersi e non essere prigionieri della gabbia del presente, ma a guadare con fiducia e speranza al futuro.
Pietro Giubilo |
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