|
Stai sfogliando il n.89 Maggio / Giugno 2018
MCL, a Pantelleria un Seminario Internazionale di Studi europei |
Data di pubblicazione: Mercoledì, 30 Maggio 2018
|
|
|
L’Unione Europea e il Mediterraneo: lavoro, legalità, immigrazione e integrazione
|
“Sospesa tra noi e l’Africa, drammatica e soave, inquietante e dolcissima, nera di lava e d’ossidiana, verde di uva di Zibibbo, di capperi e ulivi, azzurra di lago, indaco di mare, Pantelleria è un’isola limite” scrive il premio Campiello Giosuè Calaciura nel suo libro Pantelleria l’ultima isola. Ma Pantelleria è anche terra di sbarchi e di contraddizioni, “Isola di approdi perenni: è stata fenicia, romana, bizantina, araba, normanna, spagnola. Pantelleria è un confine non solo geografico, è una frontiera che accoglie, è un luogo che ci ricorda quanto sia fragile e al tempo stesso eccezionale la condizione umana”. Un luogo, quindi, scelto non a caso - dal MCL in collaborazione con Efal, Fondazione Italiana Europa Popolare ed Eza - per discutere di migrazioni epocali e del rapporto tra Unione Europea e Mediterraneo. “L’Unione Europea e il Mediterraneo: lavoro, legalità, immigrazione e integrazione”: questo il tema della tre giorni di dibattito che ha visto confrontarsi oltre cinquanta rappresentanti europei di organizzazioni e movimenti di lavoratori cristiani, provenienti da Malta, Cipro, Grecia, Spagna, Portogallo, Austria e Germania. L’obiettivo comune è quello di realizzare nel Mediterraneo uno scenario sempre più coeso, in cui il lavoro torni ad essere centro di promozione e di integrazione. “Dal Mediterraneo passa la sfida del futuro democratico del nostro Continente che, stretto tra un ‘populismo identitario e sovranista’ ed una ‘oligarchia tecnocratica’, deve ritrovare la forza delle ragioni dell’economia sociale di mercato”, ha detto il Presidente del MCL, Carlo Costalli, aprendo i lavori del Seminario internazionale di studi europei. La questione delle politiche migratorie nel Mediterraneo è strettamente connessa con le frizioni esistenti all’interno della stessa Unione Europea, dove le tre maggiori istituzioni - Commissione, Consiglio e Parlamento Europeo - hanno visioni fra loro diverse che inevitabilmente generano politiche ondivaghe: è quanto ha affermato l’europarlamentare Giovanni La Via. “è un fatto - ha continuato l’eurodeputato - che appena l’8% del bilancio dell’Unione viene destinato a interventi di cooperazione e sostegno allo sviluppo”. “Costruire una politica europea unica, un’Europa più solidale e più umana, darsi una politica estera comune è sicuramente il primo passo, ma occorrono risorse ben più ingenti rispetto a quelle che oggi abbiamo: senza risorse non si possono fare politiche solidali che siano davvero incisive”, ha aggiunto La Via. Di fronte al nuovo contesto, il prof. Andrea Ruggeri, dell’università di Oxford, si è soffermato sull’interdipendenza esistente fra instabilità politica e migrazioni: una situazione che inevitabilmente determina un clima di grande preoccupazione per il futuro. Per questo occorre essere in grado di “mettere in campo politiche lungimiranti, non ancorate solo all’immediato”, ha aggiunto il prof. Ruggeri sottolineando che “c’è, inoltre, un deficit di politica internazionale da parte dell’UE che rischiamo di pagare anche a caro prezzo”. Mons. Domenico Mogavero, Vescovo di Mazara del Vallo, provando a spostare l’ottica con cui normalmente si legge la questione immigrazione, ha rilevato come “se la Sicilia è da un lato considerata la periferia estrema d’Europa, dall’altro è anche, allo stesso tempo, una testa di ponte, in prima fila tra Africa ed Europa”. Ciò che occorre, ha auspicato il prelato, è “introdurre un ‘nuovo umanesimo mediterraneo’ ” che si fondi su quei valori culturali e religiosi che accomunano le popolazioni dell’area, percorrendo le strade del rispetto e della valorizzazione delle diversità. è incontestabile che oggi l’area mediterranea stia vivendo un periodo di grandi difficoltà, sia per ragioni militari, sia politiche, sia economiche, sia migratorie – ha continuato Mons.Mogavero - ma questo non ci deve scoraggiare dal “percorrere la via del dialogo che è la vera alternativa alla guerra”. Ai lavori ha preso parte anche Jason Azzopardi, già ministro e parlamentare maltese, il quale ha fatto il punto sulla situazione immigrazione a Malta e sulle reazioni UE. Fiammetta Sagliocca
Intervista a Jason Azzopardi Malta, l’isola dove non ci sono più sbarchi In tempo di migrazioni epocali, quali sono le ragioni alla base delle scelte politiche di Malta, isola geograficamente nell’occhio del ciclone, addirittura più vicina all’Italia di quanto non lo sia Lampedusa, eppure non più toccata dagli sbarchi? E ancora: l’Europa si sta dimostrando in grado di dare risposte adeguate? Lo abbiamo chiesto a Jason Azzopardi, giovane ex Ministro e parlamentare maltese, che abbiamo incontrato a Pantelleria, a margine del Seminario Internazionale di studi europei su Europa e Mediterraneo.
Gli esiti del vertice de La Valletta del febbraio 2017, con la dichiarazione dei 28 leader UE uniti nel cercare di arginare i flussi illegali in entrata, prediligendo le rotte turche e quelle dei Balcani occidentali, sembrano quasi aver fornito al Governo maltese il là per svincolare l’isola dagli sbarchi, come poi in effetti è avvenuto. E’ d’accordo con questa analisi? Cosa ne pensa? Diciamo innanzi tutto che la situazione è molto cambiata dopo il 2013, quando è stato concluso un accordo fra il governo laburista maltese e il governo Renzi. è un fatto non opinabile che da allora gli sbarchi a Malta siano praticamente del tutto cessati, vicini al numero zero. Certo, sicuramente l’Italia ha fatto molto, il sud in particolare si è speso con generosità prendendosi carico della prima accoglienza di quanti sono stati salvati in mare, e di questo non possiamo non tener conto. Sta di fatto che da allora a Malta abbiamo smesso di preoccuparci per i flussi migratori che non sono più percepiti come un’emergenza. Rimangono i problemi legati all’integrazione dei migranti sbarcati a Malta prima del 2013: il vero nodo è, quindi, come mai ancora non si sia formata una coscienza europea. Siamo davanti a culture profondamente diverse sotto ogni punto di vista e la questione ancora aperta è come lavorare uniti per l’integrazione.
A fronte di questa nuova situazione, le cronache riportano che Malta nell’ultimo anno ha vissuto un boom economico, con il turismo in crescita del 6%. Come legge questi dati? Diciamo anzitutto che non è una coincidenza. La risposta sta nel fatto che il governo laburista maltese si è mosso molto attivamente sul piano della vendita dei passaporti: questo ha portato a Malta moltissimi soldi, soprattutto da milionari russi, ucraini, arabi. Si tratta tuttavia di una scelta politica che, se ha portato molto denaro a Malta, ha però fortemente impoverito il ceto medio maltese che oggi non è più in grado neanche di permettersi il costo di un affitto, con molta gente costretta ad abitare in garage senza luce né acqua. La conseguenza di questo impoverimento è stata l’aumento esponenziale dei conflitti sociali per l’allargarsi della forbice fra ricchi e poveri. Sono realtà nuove, queste, di cui non possiamo non tener conto: Malta attraversa un periodo in cui si è alzato il tenore di vita, ma non la qualità della vita delle persone.
La proposta MCL Istituire un Ministero degli Esteri europeo
Può l’Europa, di fronte a rivolte sociali, sconvolgimenti politici, conflitti militari crescenti ai suoi confini, continuare a non avere una politica estera univoca? A Pantelleria si è parlato anche di questo. “L’Alto Commissariato per la politica estera, al di là della risonanza nominale, non esprime alcuna strategia di politica estera, rimasta invece gelosamente custodita dagli Stati membri, com’è risultato evidente in tutte le crisi recenti, nel corso delle quali ogni Stato ha perseguito il proprio interesse nazionale, dai Balcani alle primavere arabe, al Medio Oriente”, ha denunciato il Presidente MCL, Carlo Costalli. Di qui la proposta del MCL di lanciare un Ministero degli Esteri europeo, per delineare una politica estera comune: “è quasi certo - ha detto Costalli - che se le rivolte delle primavere arabe del 2011 avessero trovato di fronte gli ‘Stati Uniti d’Europa’ (ossia un solido fronte politico comune europeo, con una politica estera determinata a favorirne l’evoluzione democratica, la cooperazione economica, il governo concertato dei flussi migratori regolari) avrebbero avuto un esito ben diverso”.
|
| |
|
|
|
|
|