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Stai sfogliando il n.86 Novembre / Dicembre
Regole elettorali, alleanze e programmi di governo |
Data di pubblicazione: Venerdì, 10 Novembre 2017
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Politica e società
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La legge elettorale, giunta al termine del suo accidentato percorso, apre di fatto la prospettiva delle elezioni politiche di primavera, anche perché nel Paese le lunghe campagne elettorali sono una consuetudine consolidata. Come è stato rilevato da molti, il compromesso che si è raggiunto (“meglio di niente”), assai criticabile nel metodo (uso del voto di fiducia), appare difettoso nel merito. Manca infatti l’essenziale opportunità, da offrire agli elettori, di scegliere con la preferenza che, si dimentica, è in uso in tutte le altre competizioni (europee, regionali e comunali). Oltretutto, i candidati di coalizione nei collegi uninominali indicati dalle forze politiche, che gli elettori troveranno scritti nella scheda, seguiranno, all’interno delle alleanze, la logica della spartizione e del grado di probabilità di riuscita per le tradizionali tendenze elettorali delle diverse aree elettorali. A questo proposito va sottolineato che l’elemento chiave di questa nuova normativa, rispetto al fallito progetto di giugno (“tedeschellum”), è rappresentato, appunto, dall’opportunità di formare delle alleanze. Si tratta di un elemento importante che, per esercitare una influenza positiva, non dovrebbe limitarsi al solo aspetto di incrementare le possibilità di vittoria, ma comportare un serio impegno di approfondimento programmatico. Tuttavia, al fine di evitare la riscontrata fragilità delle alleanze solo elettorali, deve emergere quella che, recentemente, Giuseppe De Rita ha chiamato una coesione nei programmi elettorali. Ciò che preoccupa, invece, è l’“assoluta carenza sulle proposte da avanzare per il nostro futuro”. E’ indispensabile rompere con la prassi dei tentativi svolti in passato che hanno privilegiato la spinta ad occupare il potere rispetto alla preparazione delle ragioni programmatiche per le quali cercare il potere. Occorre una coesione programmatica che si sviluppi con una rinnovata capacità dei partiti ad ascoltare la società civile e ad affrontare i problemi e le aspettative della gente. In particolare, può riportare alla partecipazione elettorale solo una radicale riproposizione dei bisogni collettivi quali uno sviluppo che crei occupazione, la stabilità del lavoro, la sicurezza rispetto alle inquietudini dei fenomeni sollecitati dalla globalizzazione e delle spinte migratorie, i riferimenti essenziali della vita quotidiana come il welfare, la famiglia e i suoi corollari del risparmio e della casa, la rinuncia alla verticalizzazione delle istituzioni per la difesa e la valorizzazione dei corpi intermedi e delle ricchezze territoriali e locali. Anche la questione delle candidature che trovano la loro legittimazione solo nelle decisioni delle segreterie dei partiti presenta, insieme a questa ambiguità, una possibile opportunità. Proprio la necessità di attuare programmi coraggiosi e attenti al sociale, chiede che si ponga fine alla prassi consolidata da molti decenni che vede crescere un ceto politico improvvisato e non espressione reale della società civile. La presentabilità estetica del candidato ha sostituito la rappresentanza sociale. Le forze politiche dovrebbero quantomeno presentare candidature adatte a interpretare il malessere sociale e che esprimano riferimenti valoriali e di esperienza che diano un reale affidamento di coerente impegno e di qualificato apporto parlamentare. In un sistema parlamentare le elezioni devono esprimere la rappresentanza legislativa, cioè la capacità e la forza di approvare buone leggi, vero punto di verifica della sintonia con gli elettori. Occorre ritornare all’idea della politica come servizio, che la concezione cattolica ha sviluppato proprio in antitesi alla prassi del partito ideologico. Come ha scritto il professor Ornaghi “si può davvero e proficuamente ‘servire’ se ci si prepara a farlo, se si viene educati a esercitarne doveri e responsabilità, se si è formati alla convinzione che il bene (…) della propria ‘parte’ non può mai prevalere su quello dell’intero, sul bene comune”. Il tempo che ci separa dalla convocazione dei comizi e dalla presentazione delle liste, a questo punto, rappresenta lo spazio nel quale tentare di sopperire ai limiti della legge. I recenti referendum di Lombardia e, soprattutto, in Veneto, hanno dimostrato, come avvenne per quello sulla riforma costituzionale, che la partecipazione dei cittadini si esprime solo se essi si sentono motivati e coinvolti in decisioni importanti. La ridotta partecipazione elettorale in Sicilia, a motivo della cattiva gestione, è la dimostrazione che la politica resta lontana dall’interesse della gente se non si cala dentro la realtà. La crisi italiana è ben lungi dall’essere risolta e permangono tensioni e limiti che rendono incerto il quadro della governabilità. Oltre le norme elettorali, le forze politiche debbono sentire il dovere di operare nella logica del bene comune e dell’interesse generale, rispetto ai quali una presenza politica cattolica avrebbe senso, al fine, come ha di recente sottolineato il professor Ornaghi, di “portare in modo diretto ciò che è genuinamente cattolico dentro i processi, le prassi, le scelte e le decisioni collettive della politica”.
Pietro Giubilo |
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