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Stai sfogliando il n.83 Marzo / Aprile 2017
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“In viaggio” con Papa Francesco |
Data di pubblicazione: Venerdì, 17 Marzo 2017
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Uscito in libreria il nuovo libro di Andrea Tornielli
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Dopo il bestseller internazionale “Il nome di Dio è misericordia”, pubblicato in cento Paesi e tradotto in 34 lingue, solo per citare l’ultimo in senso temporale, il vaticanista Andrea Tornielli torna nelle librerie con “In viaggio”: uno straordinario racconto di tutti i viaggi apostolici di Papa Francesco attraverso gli occhi di chi li ha vissuti “in prima linea” da cronista. Il libro, edito da Piemme, si apre con un’intervista rilasciata dal Papa all’autore. Tornielli, sempre in prima fila sull’aereo papale, ha seguito tutte le visite apostoliche ed ha scelto in questo suo “diario di viaggio” di raccontare i grandi temi e i gesti profetici del Pontificato di Francesco, senza tralasciare il racconto di aneddoti vissuti in prima persona nei vari spostamenti. L’autore ha il merito di aver riunito in un unico grande filo tanti capitoli di storia scritti dal Pontefice con i suoi viaggi, da cui emergono con tutta la sua forza la personalità di Papa Francesco e le sue priorità: nel suo cuore è sempre viva la preoccupazione per gli ultimi, per gli scarti di quell’“economia che uccide”. Ad Andrea Tornielli abbiamo rivolto alcune domande per i lettori di Traguardi Sociali.
I viaggi apostolici di Papa Francesco raccontano la trasformazione di un Pontefice che all’inizio non amava viaggiare, come lui stesso afferma nell’intervista che apre il suo libro “In viaggio”. Questo che viviamo è un periodo drammatico a livello mondiale: da questo suo “diario di viaggio” quali evoluzioni ha notato nel Pontificato di Francesco in risposta ai drammi che attanagliano il nostro tempo? Non parlerei di “evoluzione” perché l’atteggiamento è rimasto lo stesso. La caratteristica principale dei viaggi che Francesco sceglie di fare oltre a quelli in qualche modo “obbligati” (come nel caso della Giornata della Gioventù o di quella delle Famiglie) è chiara: mete periferiche, Paesi in difficoltà dove ci sono piccoli segni di speranza da incoraggiare, luoghi nei quali cercare di ricostruire una convivenza. Mi colpisce l’insistenza con cui, nonostante tutto, il Papa continua a chiedere che si costruiscano ponti e non muri, cercando di tenere accesi i riflettori su realtà difficili, delle quali spesso i media non parlano o parlano poco. Il primo viaggio, non programmato e improvvisato in pochi giorni, è quello a Lampedusa, per mostrare vicinanza agli immigrati, pregare per le migliaia di vittime che hanno trasformato il Mare Nostrum in un cimitero, e agli accoglienti lampedusani.
La portata storica dei viaggi apostolici di Papa Francesco è indiscussa, come con questo suo volume ha ampiamente testimoniato, ma c’è stato un momento particolare in cui ha sentito che la presenza e le parole del Pontefice stessero imprimendo un segno talmente profondo da infondere un reale desiderio di cambiamento nel Paese visitato? Posso citare i momenti che per me sono stati più significativi e più commoventi. Il primo è stato l’omelia a braccio, sotto il vento e la pioggia battente, che Francesco ha fatto a Tacloban, nell’isola di Leyte, nelle Filippine, nel gennaio 2015. Lì, poco più di un anno prima, il tremendo tifone Iolanda aveva ucciso migliaia di persone e lasciate migliaia di famiglie senza casa. Il Papa ha voluto essere presente nell’isola nonostante quel giorno un altro mini-tifone rendesse rischioso il volo. Davanti a quelle persone che avevano perso tutto Francesco ha parlato a braccio, dal cuore. Un altro momento nel quale secondo me si è reso palpabile il desiderio di cambiamento è stato nel novembre 2015, in Kenya, quando allo stadio, improvvisamente e inaspettatamente, il Papa ha chiesto a tutti i presenti di prendersi per mano e di alzare le braccia per manifestare un’unità che supera il tribalismo. Ma tra le tante altre cose che si possono citare non va dimenticato lo straordinario discorso al Congresso degli Stati Uniti, durante il quale il Papa ha invitato gli Usa a rimanere fedeli ai loro padri fondatori e ha ricordato la regola aurea del fare agli altri ciò che si vorrebbe fosse fatto a noi: se volete pace, costruite pace; se volete giustizia, promuovete giustizia.
Lei sta dedicando tanto allo studio del percorso di molti Pontefici, riportandone esperienze e riflessioni nei suoi libri: ogni Papa ha un suo carisma, un suo segno distintivo. Papa Francesco già dopo pochi giorni del suo Pontificato è entrato nei cuori di tante persone, credenti e no. Dai viaggi apostolici racchiusi in questo libro e dalle interviste che le ha rilasciato, qual è la caratteristica personale di Bergoglio che più l’ha colpita? La disponibilità all’incontro con tutti, la preferenza per gli incontri con gli ultimi, con gli umili, con i poveri. Quel suo “lasciarsi portare”, la sua disponibilità a farsi condurre senza risparmiarsi. I viaggi sono molto faticosi per il Papa. L’agenda è solitamente così piena che non c’è tempo per respirare. Senza contare i fusi orari che cambiano, le temperature alte, e il fatto - al quale noi solitamente non prestiamo attenzione - che il Papa anche quando si sposta da un appuntamento all’altro, fa fatica. Ne fa moltissima quando deve stare in piedi sulla papamobile salutando la gente che è lì per vederlo. Nel colloquio che apre il libro Francesco racconta l’episodio di una vecchietta incontrata nella piazza della città armena di Gyumri. Veniva dalla Georgia, aveva fatto centinaia di chilometri in pullman per vedere il Papa. Bergoglio le si è avvicinato e l’ha salutata. Il giorno dopo, a Yerevan, la capitale armena, Francesco uscendo dalla nunziatura si è accorto che quella stessa anziana donna era lì ad aspettarlo. Aveva intrapreso anche quell’ulteriore viaggio soltanto per veder passare per qualche istante il Vescovo di Roma. Francesco mi ha detto nel colloquio all’inizio del libro: io viaggio per queste persone.
Dal punto di vista professionale, da giornalista e addetto ai lavori che ha seguito i viaggi apostolici di San Giovanni Paolo II negli ultimi anni del Pontificato, di Papa Benedetto XVI e, oggi, di Papa Francesco ha potuto notare delle differenze o ritiene siano comunque tutti in linea di continuità, se pur nelle differenti personalità? Lo schema dei viaggi è stato inaugurato da Paolo VI. Essi sono diventati “strutturali” al ministero del Vescovo di Roma con Giovanni Paolo II. Benedetto e Francesco non amano viaggiare molto (Papa Wojtyla invece amava queste trasferte internazionali), ma si sono messi sulla scia dei predecessori, entrambi con molta umiltà. Non ci sono dunque grandi differenze. Francesco finora ha scelto di preferenza Paesi periferici o comunque realtà nelle quali egli pensa che la sua presenza possa essere d’aiuto: in Europa ad esempio è stato a Tirana e a Sarajevo. Inoltre ci deve sempre essere un incontro con realtà di povertà o di abbandono, e possibilmente una visita a un carcere.
Sembra che il viaggio più difficile per Papa Francesco sia quello che sta conducendo all’interno della sua stessa Chiesa. C’è una parte “tradizionalista” che contrasta, a volte anche con un certo supporto mediatico, la sua opera di riforma. A suo avviso qual è la reale portata di questo clima di ostilità nei confronti del Papa? E’ solo una piccola circoscritta minoranza? E, secondo lei, tutto questo impedirà al Papa di proseguire nella sua opera o la renderà solo molto più faticosa? Innanzitutto dobbiamo ricordare che l’opposizione al Papa interna alla Chiesa non è una novità: Paolo VI è stato “massacrato” da destra (per l’applicazione delle riforme conciliari) e da sinistra (per l’enciclica Humanae vitae), preso di mira da vescovi e cardinali, anche da alcuni considerati vicini a lui. Giovanni Paolo II, così ammirato nell’ultima fase del suo pontificato, era stato anch’egli contrastato e oggetto di critiche da destra e da sinistra: lo si accusava di “restaurazione”, o lo si rimproverava per aver promosso l’incontro interreligioso di Assisi. Benedetto XVI ce lo ricordiamo tutti: quanti attacchi interni, da sinistra, ma anche da chi si professava “ratzingeriano” ma non apprezzava la via “penitenziale” che Papa Ratzinger indicava alla Chiesa dopo lo scandalo della pedofilia. Dico questo per contestualizzare le accuse - talvolta feroci - contro Francesco in una “tradizione”. Certo, le accuse e la fronda attuale ha delle caratteristiche nuove: usa il web e i social media come moltiplicatori e ha adottato un linguaggio di scherno e talvolta di odio che ha pochi precedenti. Ci sono blog, siti e giornali online sedicenti cattolici che vivono soltanto per sparare contro il Papa o ad altri cattolici “rei” di non pensarla esattamente come loro. Tutti oggi si improvvisano teologi e dottori della fede, facendo l’esame di dottrina al Successore di Pietro. Credo che siano una minoranza molto autoreferenziale. Papa Francesco, lo vediamo, provoca l’interesse e la simpatia dei lontani più che dei vicini, con i suoi gesti e le sue parole spesso spiazzanti. Ma basta aprire il Vangelo per rendersi conto di ciò che accadeva duemila anni fa. Anche Gesù era seguito da una folla di “lontani“: pubblicani, peccatori, gente irregolare, borderline... Mentre gli uomini di religione e di dottrina del suo tempo - gi scribi e i farisei - stavano sempre con il fucile puntato, mormorando e cercando di metterlo in difficoltà. T.S. |
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