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  Più Europa per vincere le sfide

Data di pubblicazione: Giovedì, 10 Novembre 2016

TRAGUARDI SOCIALI / n.81 Novembre / Dicembre 2016 :: Più Europa per vincere le sfide

La vecchia Europa deve “riscoprire il suo volto” per continuare a costruire la pace

In Europa la crisi economica e le grandi sfide in atto hanno determinato, in questi ultimi anni, il rafforzamento di politiche populiste ed anti-europee. Un certo malcontento cresce e si veste di molti luoghi comuni: la Brexit ha illuso sulla possibilità di un ritorno “alle piccole sovranità nazionali” nella logica del “piccolo è bello e da soli è meglio”.
Non è così e non è così semplice: oggi per vincere le grandi sfide che abbiamo davanti c’è bisogno di più Europa, di più coesione sociale europea, di una più forte sovranità comunitaria.
Credo che solo così si possano affrontare e risolvere le questioni della sicurezza e del terrorismo, della povertà e del lavoro, di un fisco più giusto. E’ giunto il tempo di attivare concretamente nuove politiche per superare questa crisi che, ricordiamolo sempre, ha origine nella “nostra povertà spirituale”.
L’Italia, Paese fondatore della Comunità europea, non riesce ad essere influente nelle politiche europee e, sebbene sia una Nazione importante, non è oggi più capace di partecipare alla “stesura dell’agenda”, compito che si riservano da sempre Francia e Germania. Il nostro Primo Ministro vive con grande sofferenza questa realtà e, malgrado i suoi reiterati tentativi - dalla recente gita alle isole ponziane, alla sosta ai box Ferrari a Maranello con Angela Merkel -, vede sempre più crescere l’insofferenza per quella “superbia” che anima una stagione di protagonismo, sempre più personale, che sembra volgere al suo crepuscolo.
Il referendum del 4 dicembre vedrà “il Popolo” esercitare la “sua sovranità”, ed indubbiamente il suo giudizio coinvolgerà anche l’azione di governo che, malgrado le varie modalità di lettura dei numeri decimali, è cosciente della gravità della crisi economica e dell’inefficacia della sua opera di “riordino”: i giovani fuggono all’estero e con loro se ne va la nostra futura classe dirigente!
Le vicende legate al terremoto ci confermano poi il “nervosismo” del Primo Ministro: da molte dichiarazioni sembra quasi che le difficoltà della ricostruzione - che sono oggettivamente importanti e sono le stesse che ebbe ad incontrare Berlusconi con L’Aquila (chi non ricorda le feroci critiche della nostra sinistra in quei giorni?) - dipendano dalle “clausole europee”.
Anche in altri Paesi europei il peso della crisi economica e le grandi sfide in atto – dall’immigrazione alla lotta alla povertà, dalla famiglia al lavoro – stanno animando discussioni e dibattiti anche accesi ma, salvo il caso Brexit, si cerca sempre un punto di incontro per poter fare delle politiche europee quella “leva” che può riattivare uno sviluppo sempre più necessario ed urgente. Un certo populismo esiste ovunque, ma esso è alimentato più dai partiti politici di natura estremista e non dal Capo del governo.
L‘eccezione ungherese è stata prontamente fermata dal popolo con il referendum sull’immigrazione.
Il Primo Ministro, invece, continua insistendo sulle totali responsabilità di Bruxelles, e più insiste più alimenta conflitti con le Commissioni e dentro l‘Unione Europea. Questa perseguita non è la strada per tornare ad essere un Paese influente in Europa! Mentre sembra già svanito l’effetto della cena con Obama - che si è permesso ingerenze nella nostra politica interna che, in tempi non lontani, avrebbero visto il partito dei governativi scendere in piazza per protestare davanti all’Ambasciata Usa - il Primo Ministro sembra attivare il bersaglio europeo per non parlare di politica interna. La giustizia, il lavoro, l’economia restano problemi che non trovano soluzione e, mentre la burocrazia cresce, il debito pubblico aumenta senza vergogna, la disoccupazione regna sovrana tra i giovani e soprattutto al Sud, sullo sfondo sappiamo che non c’è luce neppure sulla questione delle nostre banche, di cui non si parla.
Eppure la sfida della costruzione dell’Europa ci appartiene da sempre ed ancor di più dal 1957 quando in Campidoglio, con i trattati di Roma, si volle costruire insieme la speranza della pace e di una democrazia per tutti.
Non è solo l’Italia con la sua politica a rendere nebuloso il cammino dell’Europa: è il nostro comportamento che crea nervosismo e se i casi della Grecia, di Cipro, del Portogallo, della Spagna hanno visto la “speculazione” dettare l’agenda politica, alla vigilia di importanti elezioni in Francia ed in Germania, non si può più continuare a praticare politiche senza un dialogo vero e chiaro. La povertà aumenta, le linee dell’Agenda Europa 2020 sono fallite, c’è bisogno di concorrere a rafforzare la coesione sociale e attivare nuove politiche per un lavoro giusto e degno.
Le parole di Papa Francesco… alla fine è sempre da lì che ci vengono le indicazioni positive.
Lui, parlando alle Istituzioni europee, nel novembre 2014 ebbe ad invitare la vecchia Europa a “riscoprire il suo volto” per continuare a costruire la pace. Questo va fatto, oggi, in una proiezione che guarda al futuro, che rafforza la sua identità e guarda al domani con speranza nuova. La storia dell’Unione Europea è una storia di unità nel dialogo e per dialogare è necessario essere “uomini di dialogo”!
Capisco le difficoltà di chi strutturalmente non è portato a dialogare e trova nel monologo, sempre più monotono, la forza della retorica e della superbia poi condivisa da tanti “signorsì”.
La politica italiana ha davvero bisogno di essere riformata e, così quella europea, ma bisogna prima pensare ai contenuti che oggi non sembrano essere all’altezza della situazione: si smetta di fare il primo della classe, che anche a scuola veniva marginalizzato, e si torni a dialogare cercando, sulle grandi riforme, un cammino condiviso per il bene di tutti.

Pier Giorgio Sciacqua
Vice Presidente Nazionale MCL
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