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Stai sfogliando il n.75 Dicembre 2015
Rappresentanza, sovranità, democrazia |
Data di pubblicazione: Venerdì, 4 Dicembre 2015
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Politica e società
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Assistiamo da qualche anno ad eventi eccezionali. I “colpi” assestati dal terrorismo islamista a Parigi, ultimi di altri clamorosi attacchi. Le guerre che si combattono nel Medioriente e nella sponda sud del Mediterraneo; l’“immigrazione epocale” che nasce dai conflitti e dalla fame di un’Africa il cui “dramma” abita nella “luce” dell’abbraccio di Francesco e nel “buio” del ritrarsi dell’Occidente. Infine, ma non ultimo, un ristagno di lungo periodo dell’economia mondiale che in Europa e in Italia fa crescere diseguaglianze sociali e territoriali, oltre che l’acuirsi di alienazioni urbane. Questi eventi hanno un effetto che va oltre gli stessi dati della sicurezza o del benessere sociale: stanno minando il modello di democrazia così come lo abbiamo costruito e conosciuto fino adesso. Alcuni mutamenti già si scorgono negli aspetti formali con le annunciate modifiche costituzionali in Francia e altrove, ed anche in quelli sostanziali con “chiusure” e diffidenze costruttrici di nuovi “muri” o con un confronto politico che si va polarizzando tra spinte “populiste” e risposte tese solo a tranquillizzare “l’opinione pubblica”. Si sta producendo un danno ed una perdita di qualità. In qualche modo l’Occidente cristiano vede messo in discussione un “primato” con il quale ha connotato il suo sviluppo civile. I cattolici si mobilitano, magari per stemperare i venti di guerra, per veicolare gli appelli di Francesco al fine di mantenere aperta la porta del dialogo, per riaffermare il valore della vita oltre i “tagliagola” e i bombardamenti. Ma c’è un’altra dimensione che li chiama in causa e senza la quale ogni sforzo di non cedere al piano inclinato del declino non può riuscire: quella della dimensione profonda e necessaria della democrazia. La democrazia rischia di perdere rappresentanza. Le istituzioni non sono più portatrici di interessi collettivamente rappresentati, non ricercano empatia con i corpi intermedi che, anzi, vengono da più parti sferzati ed emarginati. Si sta costruendo un potere senza mediazione a fronte del quale resta il ritrarsi nella propria dimensione individuale o la mobilitazione di piazza. Anche questa si dipinge di una sola vernice: quella della protesta fine a se stessa, espressione magari di una somma di individualità che si ritrovano via web. Questa diagnosi si configura anche per l’Italia di oggi. Mentre va scomparendo anche il lessico della democrazia dei cristiani – e non udiamo più parole come partecipazione, dialogo, confronto, politica come servizio, persona, formazione, senso civico –, c’è chi intende raccogliere la sfida. Ed è per questa sensibilità culturale e sociale che, nel Consiglio nazionale del 27 e 28 novembre convocato per un primo bilancio delle attività dopo il XII Congresso, il Movimento Cristiano Lavoratori ha ripreso in mano la mozione approvata nel 2014 e ha rivolto la massima attenzione al tema essenziale della rappresentanza, chiedendo alle sue strutture di territorio e di servizio il massimo impegno nell’essere momento di riferimento per un corpo sociale che vive in una condizione di grande difficoltà. “Oggi – ha spiegato preoccupato il Presidente Costalli – c’è un argomento che piace ad una ‘certa’ pessima stampa ed è proprio quello di distruggere la rappresentanza”. Indicandone le vie: dal sostegno ad un “leaderismo esasperato” o a “scorciatoie mediatiche ed efficientistiche”. “Noi – ha precisato rilanciando la sfida – risponderemo intanto facendo rete per riconfigurare la nostra presenza particolarmente su questi temi, anche accogliendo il pressante appello di Papa Francesco che ha detto a Firenze ‘i credenti sono cittadini’, con un forte richiamo all’impegno”. “Dobbiamo collaborare alla ricostruzione della rappresentanza – ha precisato Costalli – partendo dal basso, poiché dai territori può nascere la passione e la nuova classe dirigente e nuovi leader non corrotti e non logorati, perché è lì che spesso si trovano ancora radici storiche e valori radicati”. Le parole del Presidente MCL si sintonizzano con le analisi che da tempo colgono i segni di questa situazione, come quelle di Giuseppe De Rita il quale, a ottobre del 2014, denunciava sia una “eclisse della dialettica”, “vista la dominanza crescente di una comunicazione di massa che non ha bisogno di profondità psichica e di confronti contenutistici” (G. De Rita, Corriere della Sera, 8 ottobre 2014), sia la scomparsa della sovranità in quanto “sembra che ci sia una realtà internazionale tecnologica-finanziaria-economica che deve prevalere sul territorio” (De Rita, Bonomi, Dialogo sull’Italia, Vita 2014, pag 16). Lo stesso De Rita sosteneva come “la sovranità del territorio”, invece, “diventa importante per avere potere sul territorio e, quindi, per ricostruire una fascia intermedia di responsabilità”. Aggiungendo: “La sovranità non ce l’hanno più tutti coloro che apparentemente ce l’hanno, ma Obama, Goldman Sachs, strutture sovranazionali. L’unica sovranità che resta è quella territoriale, banalmente territoriale”. E più oltre, individuando il ruolo fondamentale di ciò che si muove dentro gli enti locali: “Questo significa che la sovranità di un Comune deve rivolgersi a chi c’è davvero”. Quando essa “torna al territorio torna agli elementi minimali della sovranità” – la famiglia, il Comune, piccoli proprietari -, rifiutando, scriveva in un altro momento, mentre dilagava lo scandalo romano, “cordate di gestioni puramente clientelari… i pacchetti di voti… flussi di risorse sul potere delle clientele locali”, insomma, “i mediocri giochi di localismo associato”. E’ per questa diagnosi che vede le potenziali possibilità ricostruttive della rappresentanza dentro gli enti locali, ma anche la necessità di un nuovo senso civico che tagli con “la palude del localismo politico” come si è manifestato nei fenomeni corruttivi che, a primavera, si giocherà nelle elezioni comunali una partita importante. A condizione che il confronto non si riduca alla sola ricerca di un leaderismo personale o alla presentazione di un finto nuovo civismo come maschera per l’impresentabilità di partiti logorati e senza consenso. Occorreranno programmi in grado di suscitare valori e contenuti sui quali si ricostruiscano le fonti della sovranità in quei corpi intermedi senza i quali è fin troppo facile rassegnarsi ad una democrazia di vertice e senza anima.
Pietro Giubilo
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